giovedì 29 maggio 2014

BARBARA TIBILETTI MUORE CADENDO DALLA CASCINA

Barbara Tibiletti figlia di Andrea di Vegonno e moglie di Battista Sommaruga di Erbamolle è morta per disgrazia cadendo da una cascina senza avere avuto i santi sacramenti, come annota il parroco di Azzate Carlo Fumagalli sul registro dei defunti il 23 giugno 1670.



MELCHIORRE SANGIOVANNI ANNEGATO NEL LAGO

Melchiorre Sangiovanni figlio di Antonio è una nostra conoscenza poiché il 22 settembre 1657 in occasione del giuramento di fedeltà al feudatario di Azzate Giacomo Maria Alfieri non aveva potuto esternare la sua promessa poiché era lontano a fare la guerra.

Tornò alla ribalta delle cronache azzatesi il 25 settembre 1668 quando per disgrazia annegò nel lago e, come annota il parroco di Azzate Carlo Fumagalli nel registro dei defunti, fu sepolto senza aver ricevuto i santi sacramenti.


mercoledì 28 maggio 2014

FRANCESCA BALLABENE MORTA PER MEZZO DI UN LUPO

Scorrendo il registro dei defunti della Parrocchia di Azzate siamo incorsi in questa notizia che ci sembra abbastanza curiosa. Il parroco di Azzate sotto la data del 13 agosto 1655 annota la morte avvenuta per mezzo di un lupo di Francesca, vedova di Andrea Ballabene di Vegonno che era deceduto l’8 gennaio dell’anno prima.
La vedova rimasta probabilmente sola (non ci risulta che la coppia abbia avuto figli) si era avventurata nel bosco per raccogliere qualcosa di sua utilità ed era incappata in un affamato lupo che le si era avventato addosso con tutta la sua ferocia, riducendola in fin di vita.

A volte le storie di lupi che attaccano l’uomo sembrano scaturire più dalla fantasia dei grandi per incutere timore nei giovani, ma questo è un caso vero e documentato ed è abbastanza verosimile se si pensa che la poveraccia abitava a Vegonno e dunque in una zona in cui i boschi erano molto estesi.




lunedì 26 maggio 2014

COLLI CARLO - PRETE

Don Carlo Colli fu un patriota di spicco durante le Guerre di Indipendenza, ed è un vanto per noi che egli sia stato Cappellano di Sant'Eugenio in Tornavento dal 1864 al 1882. "Patriota e scrittore" lo chiama anche il compianto Gian Domenico Oltrona Visconti, che lo ricorda nella sua Storia di Lonate del 1969, riassumendo notizie raccolte da Leopoldo Giampaolo e Mario Bertolone. Qui riprendo l'argomento avvalendomi anche di altre fonti, in particolare di alcune precisazioni recenti di Alberto Ambrosoli e Diego Dalla Gasperina.
Carlo Teodoro nato ad Azzate il 26 febbraio 1823 da Pasquale Colli e Marianna Limido, sposati ad Azzate il 4 aprile 1815, ordinato sacerdote nel 1846, don Carlo Colli ebbe come primo incarico quello di coadiuvare il parroco di Schianno, paesetto vicino a Morazzone, cittadina che due anni dopo fu teatro del noto combattimento tra Garibaldi e gli austriaci: nell'agosto del 1848 Garibaldi, che anche dopo l'armistizio Salasco combatteva con la sua legione di volontari lombardi, penetrò da Luino nel Varesotto e, tormentando il nemico in punti diversi del territorio con la tecnica sfibrante e disorientante della guerriglia con spostamenti continui, si fermò il giorno 26 nel paese di Morazzone, collocato su un'altura che presumibilmente riteneva più facilmente difendibile. Di sorpresa, all'ora di cena, il generale austriaco Simboschen attaccò il paese. Appena avvertito, Garibaldi ordinò una reazione furiosa dei suoi, che, sparando dagli androni, dalle finestre, dai tetti delle case, riuscirono a scacciare dal villaggio gli austriaci. Questi dall'esterno spararono cannonate sull'abitato, incendiando alcune case. Ad essi presto si unirono, richiamati dagli spari, altri reparti austriaci che erano dislocati nel circondario. Rinviarono il combattimento al mattino seguente. Nella notte i garibaldini ebbero il modo di disperdersi, sfuggendo in silenzio all'accerchiamento, guidati dal parroco di Morazzone, don Bernardino Sala, che essi pensarono bene di portare con sé perché li conducesse in salvo per sentieri che lui doveva conoscere bene. I garibaldini lo rilasceranno a Capolago, sul confine della Svizzera, ormai lontani dalla portata dei fucili austriaci.
Che cosa fece in quell'occasione don Colli, che risiedeva non a Morazzone ma, come già detto, nel vicino paese di Schianno? "Giovane vigoroso, prete di caldi sensi patriottici", sono parole dello storico varesino Bertolone, "accorse sul luogo della battaglia a rincuorare gli spaventati terrazzani, a dare opera di soccorso ai feriti, ai morenti." Poi, undici anni dopo, mise per iscritto i ricordi del '48, che dapprima tenne presso di sé e poi affidò al museo patrio di Varese. Ecco così giustificati gli attributi di patriota e di scrittore.
Don Colli lasciò Schianno nel 1864 e venne a Tornavento, perché gli era stata affidata la chiesa di Sant'Eugenio, che allora, come sappiamo, dipendeva dalla parrocchiale di Lonate Pozzolo. A Tornavento gli spettava il titolo di cappellano o, più propriamente, quello di vicecurato, titolo in vigore dall'anno 1797.
Tornavento, con i cascinali annessi, allora contava 250 abitanti (e Lonate 2550) contro i 550 di Schianno. Era ancora comune autonomo ed aveva per sindaco Ippolito Parravicino; ma pochi anni dopo, nel 1869, così come Sant'Antonino, sarà aggregato a Lonate come frazione. La chiesa di Sant'Eugenio era stata ricostruita intorno al 1845, fornita di sagrestia, di due altari laterali, del campanile.
Negli anni 1870-76, quando era presente e attivo il Colli, Tornavento ebbe il cimitero fuori dell'abitato e il battistero in chiesa. Prima i suoi morti venivano sepolti a Lonate, i suoi neonati venivano battezzati a Lonate. Nulla sappiamo della probabile collaborazione di don Colli con il suddetto Ippolito Parravicino, il quale, grande proprietario terriero e intelligente imprenditore, ha fatto molto per la frazione, essendo sindaco di Lonate dal 1875 al 1877, indi membro del consiglio provinciale di Milano, impegnato negli anni seguenti per la elevazione di Sant'Eugenio a chiesa parrocchiale autonoma (traguardo che sarà raggiunto soltanto nel 1902).
Don Colli rimase a Tornavento fino al 1882. Trasferito alla chiesa-santuario delta Madonna in Campagna a Gallarate, vi rimase fino al 1897: vi promosse importanti restauri, fabbricò la casa per il sagrestano, raccolse in un breve manoscritto le vicende storiche delta chiesa.
Celebrando nel 1896 il suo 50° di Messa, donò alla chiesa, che ancora lo conserva in sagrestia, uno splendido triangolo di seta per le esposizioni eucaristiche, triangolo ricamato in oro e argento, con al centro un "occhio" circondato da una corona di nubi chiare, con motivi geometrici e spirali tutt'intorno, con spighe di frumento e grappoli d'uva in ciascuno degli angoli.
Don Colli morì ottantenne a Milano nell'anno 1903 e, per suo volere, venne sepolto nel cimitero di Tornavento, in mezzo al suo "gregge" che più aveva amato, come scrisse Andrea Mastalli, suo biografo e successore nella chiesa alla periferia di Gallarate. I suoi resti mortali riposano oggi in uno dei loculi per il clero costruiti cinquant'anni fa in fondo al cimitero, a sinistra della cappella Parravicino; il loculo, munito di nome e di ritratto, è visibile nella foto qui sotto.


(Estratto da “La nona campana” Aprile 2010).

Sac. Carlo Colli
Originario di Azzate, dove nacque il 13.2.1823, dopo aver frequentato le scuole elementari a Varese, il Colli entrò in seminario e fu ordinato sacerdote nel 1846. Fu quindi inviato dalla Curia milanese a Schianno, per aiutare nella cura d'anime il vecchio parroco del paese, don Melchiorre Rossi, caduto malato.
Da questo osservatorio il Colli fu testimone oculare e partecipe al famoso combattimento che Garibaldi ingaggiò contro il tenente maresciallo D'Aspre. Animato "da caldi sensi patriottici", come scrisse del giovane prete Luigi Bossi, nella presentazione del manoscritto, nel momento più accanito del combattimento, rincuorò gli spaventati terrazzani fuggitivi, portò il suo soccorso ai feriti e ai morenti.
Il racconto della battaglia e delle vicende collaterali è stato minuziosamente descritto dal sac. Carlo Colli in un manoscritto di poche pagine, conservato presso l'Archivio di Stato di Varese nel Fondo Museo[1].

(EGIDIO GIANAZZA, Profilo storico di Gazzada Schianno, Comune di Gazzada Schianno, 1993, pag. 430).



[1] Diego Dalla Gasperina, che l’ha visionato, mi informa che attualmente è presso l’Archivio Storico del Comune di Varese (dott. Piero Mondini).




sabato 24 maggio 2014

BOSSI ANTONIO NOTAIO

Nob. Pietro Bossi f. conte D. Francesco f. conte D. Claudio Luigi e D. Maria
Teresa dei conti Locatelli.
n. Como 13.12.1791
Sp. Giuditta Colombo.
   |
   |
   |--- nob. cav. dott. Antonio Bossi
         Notaio in Varese e cittadino benemerito. (1855)[1].
         Sp. Cherubina Sacconaghi
         n. 1838 + 1913
         Rimasta vedova, ad onorare la memoria del perduto consorte, che fu anche
         presidente della Congregazione di Carità, donava alla stessa lire 5.000 perché
         le rendite venissero erogate a scopo di beneficenza e particolarmente per i
         bisogni dell’Ospedale.
         Offriva poi anche il ritratto del compianto marito, opera del pittore Giuseppe
         Colombo, esprimendo il desiderio che venisse sempre compreso nell’annuale
         esposizione dei quadri dei benefattori del Nosocomio[2].
            |
            |
            |--- Giuditta Bossi +
                   n. 1870 +  1875

Il notaio Antonio Bossi, accomodato nel suo elegante studio, si distingue per i lunghi baffi che nella foggia richiamano l'usanza austriaca.
Il pittore, all'esigenza di esprimere fedelmente l'identità fisionomica del personaggio, coniuga una raffigurazione molto zelante del fondo, descritto con tonalità opache e immerse nella penombra.
Caratterizzato da un tono estremamente controllato, riscontrabile soprattutto nella definizione dei riferimenti ambientali, l'inedito dipinto costituisce uno degli esempi più significativi per indagare la poco nota figura del pittore Giuseppe Colombo per il quale il Borri si premura di tramandarci soltanto la provenienza "da Canzo".
Eseguito a ridosso della morte del nobile notaio Antonio Bossi, il dipinto in esame richiama da vicino, sia per le dimensioni che per l'impostazione iconografica e la qualità esecutiva, il ritratto di Carlo Filippetti firmato dal Colombo sempre per il nosocomio cittadino, a pochi anni di distanza. Come per quest'ultimo, così anche per il ritratto del notaio Bossi è riscontrabile lo scarto formale e compositivo rispetto all'effige commemorativa in onore del Cavaliere Baratelli, pure firmata dal Colombo per l'Ospedale di Varese. Mentre in quest'ultima opera, più matura e di ridotto formato, il sapiente chiaroscuro modella i volumi invece che delinearli, nell'opera presa in considerazione in queste righe, invece, tornano la precisione descrittiva degli oggetti d'interno e l'interpretazione calligrafica dei tratti del volto del benefattore.
Il Bagaini ricorda che nel 1887 Cherubina Sacconaghi, varesina e moglie del dottor Antonio Bossi di Azzate, rimasta vedova, donò cinquemila lire alla Congregazione di Carità di cui il consorte fu eletto presidente nel 1861.
La vedova esprimeva, inoltre, il desiderio che il ritratto donato del defunto marito - che dunque pervenne nella quadreria dell'Ospedale nel 1887 - fosse sempre compreso nell'annuale esposizione dei quadri dei benefattori del nosocomio.
Presso il cimitero di Giubiano, infine, è custodito un ritratto del Bossi scolpito da Donato Barcaglia che riproduce le similari fattezze del nobile notaio.




                                                    Ritratto del nob. cav. dott. Antonio Bossi
                                               eseguito nel 1886 dal pittore Giuseppe Colombo.












[1] Vedi “Tracce” luglio-agosto 1999.
[2] Estratto da: G. BAGAINI: L’Ospedale di Varese dalle origini alla costituzione in Ospedale di Circolo, Officine Grafiche Esperia, Milano, 1930 (?)

SANTA EUROSIA

Onorata come protettrice dei frutti della terra e invocata contro le tempeste e i tuoni, Eurosia di Jaca (Spagna) fu, secondo la tradizione, protagonista di una vicenda oscura che si concluse nell'anno 714 con la sua uccisione in una caverna nella regione dei Pirenei, poco lontano da Bayonne. Le più antiche testimonianze del suo culto non risalgono comunque a prima del XVI secolo; dalla Spagna la devozione fu portata in Italia soprattutto dai soldati e conobbe una notevole diffusione nello Stato di Milano, dominato dagli spagnoli. Fra XVII e inizi del XVIII secolo nelle diocesi di Milano, Como, Cremona, Pavia e Novara le vennero intitolati molti altari e oratori, si diffuse il culto per le sue reliquie e le furono dedicate molte opere d'arte, soprattutto dipinti illustranti appunto il martirio. (Qualche notizia sulla figura e sul culto di Sant'Eurosia si ricava da F. CARAFFA, Eurosia di Jaca, in Bibliotheca Sanctorum, V, Roma 1964, col. 240-241).


Azzate - Oratorio di San Rocco - Santa Eurosia.