sabato 3 gennaio 2015

Epitaffio di Ines Castellani Fantoni in Benaglio

Cimitero di Azzate - Cappella gentilizia Castellani Fantoni.
EPITAFFIO DI INES CASTELLANI FANTONI IN BENAGLIO

“Presso le ceneri del padre e del fratello, fidente in Dio riposa Ines Castellani Fantoni in Benaglio, eletto ingegno carità umiltà cristiana, dolcezza angelica la resero cara a tutti.
Eri fra gli esseri più cari che avessi al mondo!! Ora ti chiamo invano da questa tomba!! Solo da Dio clemente attendo lenito l’acerbo dolor che non ha posa. L’infelice madre tua”.

L’epitaffio proviene dal vecchio cimitero di S. Rocco di Azzate ed è stato inserito in una parete della cappella gentilizia fatta costruire dalla contessa Maria Elena Benizzi Castellani al nuovo cinitero di Vegonno, che raccoglie le spoglie mortali e le lapidi di alcuni membri della nobile famiglia.
L’epitaffio in questione descrive il dolore di una madre sconsolata, già provata dalla perdita del marito e di un figlio, che vede ora calare nella tomba l’adorata figlia Ines che si era distinta per non comuni doti di ingegno, carità e umiltà cristiana e paragona la sua dolcezza a quella degli angeli, dote che la resero cara a tutti.
Per queste sue particolari affinità la madre la considerava la cosa più preziosa che avesse al mondo e, disperamente, la chiama invano dalla tomba sapendo che soltanto Dio onnipotente potrà lenire il suo immmenso dolore.
Lo struggente epitaffio si chiude con tre parole: “L’infelice madre tua” che valgono più di qualsiasi firma ed esprimono l’amore e il dolore di una madre che ha perso la sua creatura.

Chiave da ciambellano

Stemma all'ingresso dell Villa Bossi-Zampolli.
CHIAVE DA CIAMBELLANO

Il ciambellano, o gentiluomo di camera o di compagnia nelle corti, aveva la cura degli appartamenti del sovrano e del tesoro della corona e sovrintendeva al protocollo e alle questioni inerenti il cerimoniale di corte. Potevano essere anche più di uno e prestavano la loro opera non solo nelle corti reali, ma anche nei palazzi dei principi e dell'alto clero.
Tale carica dava diritto, nel XVI secolo, all'insegna di una chiave ricamata in fili d'oro sull'uniforme. Proprio per questa usanza i ciambellani di corte furono spesso soprannominati uomini della chiave d'oro o cavalieri della chiave. Nel XVII secolo, oltre che essere insigniti con il ricamo della chiave sull'uniforme, venivano investiti ufficialmente della carica con la consegna di una chiave che apriva, anche solo simbolicamente, le porte delle stanze reali; chiave che portavano appesa al collo con un cordone o infilata nella cintura in segno della propria distinzione sociale.
Questo tipo di chiave raggiunse il massimo uso nel XVIII secolo in Francia, in Spagna, in Germania, in Inghilterra e soprattutto in Russia. Non aveva alcuna funzionalità pratica, ma era solo oggetto simbolico e onorario. Qualcosa di simile era già in uso al tempo dei Romani: l' Horearius, particolare guardia romana, portava appesa alla cintura una chiave in segno di onorificenza e a
dimostrazione della propria mansione.
Anche il conte Luigi Bossi non sfugge dalla tentazione di richiedere all’imperatrice Maria Teresa d’Austria questa onorificenza e trascriviamo di seguito alcuni documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Milano, Fondo Araldica, Cartella 22:

Araldica.
Ciambellani.
Bossi conte Luigi.

29 gennaio 1772

Lettera di governo, colla quale fu abbassata al Tribunale la supplica umiliata a Sua Maestà dal conte Luigi Bossi per la dispensa delle prove per la Chiave d’oro.
Consulta del Tribunale risponsiva alla suddetta istanza.

Sacra Cesarea Reale Maestà, Imperatrice e Regina d’Ungheria e Boemia, Arciduchessa d’Austria, Clementissima Imperatrice e Regina Apostolica, Principessa degli Stati e Signora.

Vostra Cesarea Reale Maestà pratica ad ogni tempo il pregiabilissimo uso di concedere clementissimamente delle grazie singolari a quelle Famiglie che nei tempi scorsi e presentanei si acquistarono dei meriti appresso alla Serenissima Arci Casa d’Austria.
Le mie Famiglie proprie, come anche quelle della mia Moglie nata Contessa di Locatelli, il di cui Padre morì qual Tenente Maresciallo e Comproprietario d’un reggimento di Corazzieri e Governatore della Fortezza d’Esegy, furono si fortunate di aver servito con ogni dovuta fedeltà alla Serenissima Arci Casa d’Austria d’alcuni secoli in qua tanti nei Militari quanto nei Civili impieghi.
Io ardisco di rappresentare con profondissimo rispetto alla Graziosissima Monarca i meriti di ambe le due Famiglie, prostrandomi nell’istesso tempo ali Piedi della medesima.
Umilissimamente supplicando Nostra Cesarea Reale Maestà degnarsi clementissimamente in riflesso di questi graziarmi della Chiave dei Ciambellani e dell’Esenzione della Tassa, affinché potessi godere l’impareggiabile grazia di fare la mia Corte più spesse volte a Sua Altezza Reale l’Arciduca e Governatore di Milano.
Sono profondissima umiliazione di Vostra Imperial Regia Maestà.
L’umilissimo ed ubbidientissimo Luigi Conte di Bossi Maggiore della Piazza di Como.


A Sua Eccellenza il Signor Consultore Don Paolo de la Silva.

Eccellenza.
Mi è stata abbassata da Sua Maestà, segnata di Real sua mano, una supplica del Conte Luigi Bossi, Maggiore della Piazza di Como, nella quale implora la grazia di essere onorato della Chiave d’Oro, senza il pagamento delle consuete tasse.
Perché possa io umiliare alla Maestà Sua la comodatami informazione su di tal supplica, la rimetto qui unita a Vostra Eccellenza, pregandola, che voglia compiacersi a prenderla in considerazione ed a dirmene l’accertato di lei sentimento.
Intanto sono con pieno rispetto.
Di Vostra Eccellenza.
Milano, 29 gennaio 1772
F.to ……..


Eccellenza.
Abbassata al Tribunale Araldico la supplica del Conte Luigi Bossi Maggiore della Piazza della città di Como stata dal medesimo umiliata all’Augustissima Imperatrice Sovrana all’intento di conseguire dalla clemenza della medesima in via di grazia l’onore della regia Imperiale Chiave d’Oro con l’esenzione della tassa, non avendo il Conte supplicante presentate prove di sorte alcuna in giustificazione nella Nobiltà delle quattro Famiglie, dalle quali egli discende, il Tribunale altro non può dire se non d’essere la di lui Famiglia Paterna ascritta fra le Patrizie di questa Metropoli, e perciò rapporto all’implorata grazia della dispensa delle opportune prove delle tre famiglie e dell’ esenzione della tassa, tutto dipende dal Sovrano arbitrio e munificenza di Sua Maestà, e con profonda venerazione mi protesto di Vostra Eccellenza.
Milano, 15 febbraio 1772.